Giovedì 29 novembre, presso il Centro Pastorale Paolo VI di Brescia, la Fondazione San Benedetto ha organizzato un incontro pubblico sul tema "Dal welfare pubblico locale alla welfare society: non lasciamoli soli", primo appuntamento della Scuola San Benedetto per l’anno 2012-2013. Hanno partecipato Marco Maiello, Direttore Area Innovazione e Sviluppo di Welfare Italia, Alberto Mingardi, Direttore dell’Istituto Bruno Leoni, e Felice Scalvini, Leader della cooperazione sociale, moderati da Marco Nicolai, Vice-presidente Fondazione San Benedetto. Al dibattito ha contribuito anche Julian Le Grand, Professore di Politica sociale alla London School of Economics and Political Science, attraverso la proiezione di un’intervista concessa alla Fondazione San Benedetto.
La Fondazione San Benedetto è nata a Brescia nel 2005 dall’iniziativa di imprenditori e professionisti che hanno scelto di porre al centro dei loro interessi e del loro impegno filantropico la cosiddetta emergenza educativa. In particolare la Fondazione San Benedetto ha un duplice obiettivo: la formazione culturale, politica, imprenditoriale e professionale, con attenzione soprattutto ai giovani; il sostegno allo sviluppo di iniziative a valenza sociale ed educativa o tese a creare occupazione e nuova imprenditoria. Tra le attività della Fondazione si segnalano la Scuola di Sussidiarietà, un percorso di formazione rivolto ai giovani interessati all’impegno sociale e politico; l’erogazione di dieci borse di studio assegnate dalla Fondazione per sostenere negli studi giovani meritevoli e di cinque stage all’estero; un percorso di formazione (dal titolo "Inside business – dentro l’eccellenza") attraverso le visite in alcune importanti realtà imprenditoriali in Italia e all’estero per venticinque studenti universitari. Presso la Fondazione è stato aperto inoltre un Centro Studi, con biblioteca, luogo di incontro per chi partecipa alle iniziative della Fondazione.
Come cambia il welfare
Come affrontare la sfida del welfare alla luce dei cambiamenti sociali in atto? Questa la domanda che ha fatto da filo conduttore dell’incontro.
Il termine “welfare”, da noi tutti oggi utilizzato senza sostantivi-aggettivi di connotazione, col tempo ha perso una parte di quella che era la locuzione originaria “welfare state”. Questa modifica lessicale è sintomatica di un cambiamento più profondo, che ha progressivamente cambiato il ruolo del welfare stesso. Esso è nato in origine come risposta alle disuguaglianze, col fine di garantire parità di sviluppo alle persone. Esso, quindi, è stato a lungo connotato da un’idea universalistica, che aveva nello Stato il soggetto principale per la realizzazione di tale obiettivo.
Scalvini ha ripercorso le tappe che in Italia hanno accompagnato questo processo evolutivo, dalla Legge Crispi, che ha visto un trasferimento dell’attività socio-assistenziale dal tessuto locale al sistema statale, sino al successivo sviluppo-ritorno all’iniziativa dal basso, incominciatasi a delineare nel corso degli anni Settanta. Se in passato faceva da protagonista la benevolentiae paternalistica, in cui i benefattori agivano con discrezionalità rispondendo a norme morali-religiose, con lo svilupparsi dello stato sociale l’attore pubblico si è fatto carico di rispondere ai bisogni generali della collettività, che in quel periodo storico si configuravano come essenziali e omogenei.
Oggi i bisogni si sono evoluti e diversificati e per questa ragione, come sostiene Mingardi, lo Stato sociale non è più in grado di dare risposte adeguate ai rischi e ai bisogni propri della società. Tra i problemi che contraddistinguono l’operato pubblico si annovera un’eccessiva burocratizzazione, che inibisce l’innovazione istituzionale e porta a fornire risposte spesso adeguate per il ceto medio ma non altrettanto per i soggetti “invisibili” allo Stato (immigrati irregolari, senza tetto…).
Il principio di sussidiarietà come chiave di lettura del cambiamento
In ragione del mutamento di paradigma, dell’evoluzione dei bisogni e del cambiamento della società, Maiello ha proposto che si vada verso la reale applicazione dell’articolo 118, comma 4, della nostra Costituzione, che recita “Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”.
Il principio di sussidiarietà è fondato su una visione gerarchica della vita sociale e afferma che le società di ordine superiore devono aiutare, sostenere e promuovere lo sviluppo di quelle inferiori. In particolare, il principio di sussidiarietà esalta il valore dei cosiddetti corpi intermedi (famiglie, associazioni, confessioni religiose strutturate, etc.) che si trovano a diverso titolo tra il singolo cittadino e lo Stato. Se i corpi intermedi sono in grado di svolgere una funzione sociale o di soddisfare un bisogno del cittadino (per esempio, l’educazione, l’assistenza sanitaria, i servizi sociali, l’informazione etc), lo Stato non deve privare queste "società di ordine inferiore" delle loro competenze, ma piuttosto sostenerle – anche finanziariamente – e in caso di necessità coordinare il loro intervento con quello degli altri corpi intermedi e delle istituzioni.
Questo principio organizzativo del potere, basato su un’antropologia positiva, traduce così nella vita politica, economica e sociale una concezione globale dell’essere umano e della società in cui il fulcro dell’ordinamento è la persona intesa come individuo in relazione. Per tale ragione le funzioni pubbliche devono competere in prima istanza a chi è più vicino alle persone, ai loro bisogni e alle loro risorse.
L’intervista a Julian Le Grand
Il Professor Julian Le Grand, citando la definizione di stato sociale proposta da Asa Briggs – “Lo stato del benessere è quello in cui il potere organizzato viene impiegato deliberatamente (con la politica e con l’amministrazione) per modificare il funzionamento del mercato in tre direzioni almeno: prima direzione, la garanzia per individui e famiglie di un reddito minimo indipendente dal valore di mercato del loro lavoro o della loro proprietà; seconda, la riduzione del grado di insicurezza, permettendo a individui e famiglie di far fronte ad alcune evenienze sociali (per esempio malattia, vecchiaia, disoccupazione) che potrebbero provocare crisi individuali e familiari; terza, l’assicurazione a tutti i cittadini, senza distinzione di censo o di status, di poter raggiungere i livelli migliori in rapporto a una dotazione convenuta di servizi sociali” – ha illustrato come oggi più che mai debba essere aggiunta a questa visione quella della partecipazione dell’individuo al processo decisionale.
Alla domanda su cosa sia la sussidiarietà ha risposto dicendo che vi sono innumerevoli interpretazioni e definizioni del termine ma che sostanzialmente esso consiste nell’attuazione del processo decisionale il più vicino possibile alla persona. La Grand ha sostenuto la tesi – cui è stata data applicazione già da tempo nella costruzione e articolazione del sistema sanitario britannico, alla cui riforma, oltretutto, Le Grand ha compartecipato – secondo la quale spostare a livello individuale la decisione comporta due benefici. Il primo, intrinseco, costituisce un bene per l’individuo in quanto esso contribuisce direttamente al controllo sull’operato. Il secondo beneficio, di tipo estrinseco, si basa sul fatto che un simile sistema determina un incentivo a fornire servizi di cui necessita il paziente.
Alla domanda sulla miglior efficacia di un sistema di tipo universalistico rispetto ad altri modelli di stato sociale, Le Grand ha risposto ricordando come un sistema di stampo universalistico consenta la tutela dei poveri, permettendo loro una possibilità di scelta e un potere che altrimenti sarebbe loro negato, e quindi sia preferibile un tale approccio. Le Grand, fermo sostenitore di una visione economica keneysiana, ha inoltre affermato come lo Stato rappresenti l’unico attore in grado di rispondere alla maggior parte dei bisogni delle persone. Esso però deve tener conto del quadro in cui opera, e del ruolo svolto dalla persona-cittadino nel processo decisionale e di controllo.
Alcuni spunti di riflessione
Per rispondere efficacemente alla complessità e particolarità dei bisogni oggi emergenti sono necessari progetti “personalizzati” che si basino sulle risorse, le opportunità e le potenzialità relazionali delle persone, oltre che sulle specifiche condizioni economiche e culturali. La sussidiarietà deve promuovere il protagonismo dei cittadini, singoli o associati, che agiscono in forma integrata e sinergica con le istituzioni. Queste ultime, dal canto loro, debbono contemporaneamente rafforzare la propria capacità di intervento nelle politiche di progettazione e garanzia dei percorsi attuativi in cui i cittadini si trovano ad operare.
Per fare ciò è necessario sostenere l’associazionismo non solo attraverso la valutazione quantitativa delle prestazioni, ma si deve anche tenere conto anche del suo impatto qualitativo, ovvero la capacità di produrre effettivamente coesione sociale, la qualità delle relazioni, la facilitazione dell’accesso ai servizi o il gradimento dei fruitori. In conclusione, soluzione a molte problematiche potrebbe provenire da una più efficace sinergia tra Stato ed attori sociali locali secondo le direttrici del principio di sussidiarietà.
Riferimenti
La Scuola San Benedetto 2012/2013