Intorno alla crisi del welfare state e alla contestuale crescita delle forme di povertà vengono avanti esperienze territoriali come le fondazioni di comunità, espressione dell’articolato mondo del secondo welfare. Nate nei primi decenni del ’900 negli Usa, in Italia hanno preso avvio nel 1998 e oggi sono 37, perlopiù nel Nord, con esperienze significative nel Sud tra Campania, Puglia e Sicilia.
Secondo Aldo Bonomi, de Il Sole 24 Ore, tali fondazioni sono oggi chiamate a immettere nel circuito il patrimonio di capitale sociale di cui dispongono all’interno della comunità di cura, inteso come l’insieme di relazioni territoriali orientato all’inclusione. In questo quadro ci stanno altri attori con i quali fare alleanza: il sindacato, quando si pone come attore della cura; l’impresa e la rappresentanza di impresa (piccola, media e grande), quando praticano e promuovono welfare aziendale e welfare territoriale.
Le fondazioni di comunità rappresenterebbero quindi dei soggetti-snodo che contribuiscono a mobilitare la comunità di cura, essendo espressione della cultura operosa dei territori e in connessione con la comunità degli interessi. Solo così le fondazioni possono contribuire ad abbassare la soglia delle paure e a svuotare l’invaso mortifero del rancore, costruendo welfare dal basso.
Le fondazioni e il rammendo della società
Aldo Bonomi, Il Sole 24 Ore, 30 ottobre 2018