In un recente contributo Simone Castello evidenziava alcune idiosincrasie che caratterizzano l’attuale dibattito sulla valutazione dell’impatto, parlando in particolare di una “babele semantica” che rischia di arrecare un danno irreparabile alla credibilità delle pratiche valutative.
Pur trovando molte affermazioni di Castello condivisibili, Federico Mento (Direttore Generale di Human Foundation) segnala qualche perplessità circa l’insistenza sull’utilizzo dei metodi sperimentali. Anche la tecnica sperimentale più rigorosa, infatti, è esposta alla soggettività, laddove vi sono individui a disegnare la valutazione, partendo da domande di ricerca, anch’esse soggettive, senza considerare poi l’influenza di coloro che attribuiscono il mandato valutativo. Al contempo, segnala Mento, la comunità dei valutatori ama accapigliarsi sulle soluzioni metodologiche, articolando un dibattito esoterico spesso poco comprensibile dall’esterno. E in tal senso, piuttosto che continuare ad annaspare sulle metodologie, sarebbe necessario riflettere sulle motivazioni che ci spingono a valutare.
Una possibile soluzione? Un sistema “leggero” di peer review, in forma più o meno anonima, che verifichi la solidità metodologica ed il rigore dell’analisi, fornendo una serie di raccomandazioni per migliorare/rafforzare la valutazione. Le analisi avrebbero così una legittimità “comunitaria”, basata sulle relazioni fiduciarie.
Valutazione d’impatto, più del metodo contano le motivazioni
Federico Mento, Vita, 11 settembre 2018