Dopo la stagione della "qualità" e dell’innovazione, quasi come il traguardo di un percorso, per il Terzo settore sembra sia arrivato il momento dell’"impatto". Da un paio di anni il tema è al centro di un intenso dibattito e confronto che coinvolge non solo gli addetti ai lavori del non profit e dell’impresa sociale ma anche altri interlocutori.
E’ in particolare nella sfera delle risorse finanziarie che l’impatto sociale sta conoscendo la una repentina affermazione dando vita a nuove categorie e classi d’investimento per un settore sempre meno Terzo (cioè residuale) e sempre più ibrido, considerando anche quel che avviene nell’economia mainstream.
In questa direzione, si devono considerare tre passaggi cruciali. Il primo è quello di evitare la creazione di una offerta standard: gli strumenti finanziari orientati all’impatto devono essere "personalizzati" in funzione della biodiversità degli enti di Terzo settore.
Il secondo elemento è legato alla necessità di coprodurre gli indicatori con il Terzo settore, evitando di spiazzare le loro motivazioni intrinseche, con metriche di origine esogena e sostanzialmente imposte secondo modelli di autorità piuttosto che di condivisione. Infine, il terzo elemento di attenzione riguarda la spinta alla crescita della domanda potenziale di risorse a impatto sociale, evitando in questo caso il rischio di generare un effetto distorsivo secondo cui l’offerta finanziaria genera la "sua" domanda (qui il rischio è quello di creare una struttura di incentivi capaci di minare l’identità dei beneficiari).
Tanti soldi per il sociale? Tre sfide per non perdere un’occasione
Paolo Venturi e Flaviano Zandonai, Avvenire, 10 maggio 2018