Dove andrà il welfare? E soprattutto quale ruolo giocherà il Terzo settore dopo la sua Riforma? Come superare il dilemma della “coperta corta”, che antepone l’impennata della domanda sociale ai tagli alla spesa pubblica? Cavalcando l’attuale onda del consenso e della diffusione, il welfare aziendale sarà la risposta ai bisogni di una fetta della nostra società? Oppure quali altre soluzioni escogitare?
Sono quesiti che interpellano non soltanto la classe politica, le organizzazioni sindacali, intellettuali e studiosi, ma anche il non profit. Perché oggi quest’ultimo, è ormai assodato da anni, recita una parte sempre più importante di sostegno al pubblico e per la salvaguardia dei beni comuni. Ma domani, alla luce del riordino tracciato dalla nuova legge, quale peso avrà?
Così come, è il dubbio che tanti esperti sollevano, perché la riforma del Terzo settore non ha camminato a braccetto con una rivoluzione del welfare? O quantomeno si è detto a quale modello ispirarsi o quale direzione indicargli? Se perplessità, critiche e interrogativi sono alla luce del sole, l’unica certezza in questo orizzonte in chiaroscuro è che in Italia, da sempre, il welfare sociale pubblico è sotto-finanziato. E anche se, nel 2017, il vento della crescita economica ha ripreso a soffiare dopo nove anni, rimane il fatto che la distribuzione degli stanziamenti da Roma è blindata da vincoli di bilancio. Dopotutto, se nel 1950 la spesa pubblica corrispondeva al 20 per cento del Pil (Prodotto interno lordo), nel 2010 ha raggiunto il 50 per cento. E nei prossimi anni, le risorse statali e locali saranno sempre meno sufficienti e la loro assegnazione sarà sempre più complicata.
Welfare: alle radici del nuovo modello pubblico, privato e civile
Paolo Marelli, VDossier 3/2017, 20 marzo 2018 (via Aiccon)